Kodokan Milano è ... Emanuele
Sono oramai sei anni che lavoro insieme al Kodokan MIlano, dapprima come collaboratore interno nella palestra di Rogoredo e poi, una volta abbastanza sicuro delle competenze, come insegnante esterno autonomo in altre palestre. Questa è forse la prima cosa che ho apprezzato del Kodokan Milano: prima di rendermi autonomo e affidarmi la gestione di una palestra Stefano ha voluto controllare le mie capacità. Nel primo periodo di affiancamento ha condiviso metodi, idee, prospettive, saperi espliciti ed impliciti al fine di farmi crescere con criterio e responsabilità; non solo per garantire una linea educativa che avesse alla base le stesse prospettive ma perché in educazione allo sbaraglio non si manda nessuno ed a quest'ultimo proposito la penso anche io allo stesso modo. In seconda battuta mi viene in mente quello che ci siamo sempre detti più con Stefano : questo non è un secondo lavoro. Non pratichiamo, insegniamo, viviamo il Judo dopo il nostro lavoro; è il Judo la nostra professione. Sono consapevole del fatto di essere un privilegiato, non tutti hanno potuto scegliere nella loro vita la professione che più desideravano e "ingoiando qualche rospo" hanno scelto responsabilmente un lavoro che desse da mangiare alla famiglia, costruisse una casa, creasse un futuro. L'insegnante di Judo forse non pagherà come altri mestieri ma, almeno per me, è ciò che ho scelto. Infine vorrei dire che sono a conoscenza del mondo agonistico, del suo potere e del suo fascino; delle palestre, dei punteggi, dei risultati nazionali o internazionali, del prestigio che ne deriva. È un mondo a parte che ha pieno diritto maggioritario di cittadinanza dentro il Judo e non c'è alcuna ragione teorica per negarlo. Tuttavia non è la strada che ho scelto. Mi sono laureato in scienze dell'educazione, sono iscritto alla magistrale di scienze pedagogiche, ho lavorato nelle scuole con la disabilità, nelle cooperative sociali in vari territori, continuo volentieri a leggere ed informarmi sulle scienze educative e le direzioni che le comunità scientifica propongono perché per un primo che arriva qualcuno resta ultimo. Il tema dell'apprendimento comunitario, le innovazioni sulle scuole senza banchi, gli asili nel bosco, le ricerche pedagogiche incentrate sulla prassi, l'attualità del tema del corpo, le suggestioni che arrivano dalle esperienze laboratoriali teatrali sono temi che ho trovato sul tatami di Judo. È vero che ognuno riconduce in parte i suoi saperi all'esperienza di vita personale e viceversa ma è altrettanto vero che il professor Kano non ha mai fatto agonismo, ha "lasciato" da parte la pratica judoistica in senso stretto e si è dedicato alla società, ha stabilito che insieme al primo principio del Judo "Miglior impiego dell'energia" c'è "Noi e gli altri per progredire insieme". Ha modellato un metodo per far crescere l'umanita in senso comunitario, dove il gruppo cresce e progredisce insieme, ciascuno secondo le sue caratteristiche. Pertanto chi troverà felicità e pienezza di vita nelle competizioni agonistiche si impegni e partecipi. Chi viene in palestra per le amicizie intessute continui e organizzi le uscite serali insieme. Chi per il Kata, chi solo per il Randori, chi per distrarsi, chi per fare fatica, chi per dimenticare, chi per mettersi alla prova, chi per le cinture e i loro colori, chi per l'odore del tatami sudato, chi per la spettacolarità di alcune tecniche, chi per i principi espressi, chi per l'amore trovato o perso, chi, con il corpo dolorante alla fine dell'allenamento, si sente vivo. A tutte queste singole motivazioni non so dire di no, non le voglio giudicare e non voglio tracciare una strada unica. Sotto i principi espressi sopra di "Sei ryoku zen yo" e "Jita kyo ei" c'è spazio per ciascun albero di crescere nella foresta per costituire un bosco. A chi mi dovesse chiedere quale sia allora il senso, rispondo volentieri che d'estate sotto un albero grande, alto e solo fa più caldo che non in un bosco con alberi più piccolo ma le cui radici sono collegate. E se questa attenzione non avesse trovato spazio nel Kodokan Milano probabilmente non sarei qui. Fortunatamente non è stato così. Emanuele Grazioli